Con la mostra "Galileo e Pisa" ci si è proposti di esplorare, per la prima volta e in maniera certamente non esauriente, il tema dei rapporti tra il grande scienziato e la città che gli diede i natali.
A Pisa Galileo trascorse l’infanzia con la madre Giulia Ammannati e la sorella Virginia di nove anni più piccola, nell’ambiente della famiglia materna. Il padre Vincenzo, di un ramo impoverito della nobile famiglia fiorentina, era nato intorno al 1520 a Santa Maria a Monte, una cittadina distante una trentina di chilometri da Pisa, dove suo nonno, Giovanni Galilei, si era trasferito intorno al 1470. Qui Vincenzo aveva una sorella, Lucrezia, alla quale rimasero alcune proprietà di poco valore. Ad essa il fratello non dovette essere molto legato, perché negli scritti di Vincenzo e in quelli di Galileo non appare mai il suo nome, e neppure Santa Maria a Monte viene mai ricordata da loro. È possibile che il padre Michelangelo (morto intorno al 1540), prima di morire gli abbia dato la sua parte di eredità e che Vincenzo abbia lasciato per sempre il borgo natio.
Gli Ammannati, invece, originari di Pescia, dove avevano beni, si erano trasferiti a Pisa intorno al 1536 e si erano inseriti nel tessuto cittadino: la famiglia era costituita da Lione, che commerciava in panni, seta, ma anche in legname come il padre Cosimo, e dalle sorelle Ermellina, Diamante, Dorotea e Giulia.
Vincenzo Galilei e la bella Giulia Ammannati contrassero matrimonio il 5 luglio 1562 innanzi al notaio Benedetto Bellavita a cui entrambi dissero il loro "sì". Le scritture precisano che Vincenzo concluse la cerimonia dando alla sposa l’anello d’oro. Giulia portava una dote complessiva di cento scudi in denaro ed in vestiario; inoltre, il fratello Lione si era impegnato a sostenere per un anno la spesa del vitto dei due coniugi.
All’Archivio di Stato di Pisa è rimasto il ricordo fiscale nel libro dei Partiti del Comune di Pisa (Gabella dei contratti) dove Ser Benedetto di Andrea Bellavita, notaio pisano, ha registrato il pagamento della tassa relativa all’atto.
Tra coloro con cui erano in affari gli Ammannati spicca il nome di Iacopo del Setaiolo, cittadino pisano e canonico della Cattedrale, perché questi è presente in molti loro atti; inoltre, appare mallevadore nel contratto di affitto del 9 luglio 1563 nel quale Giuseppe Bocca, concesse una casa per un anno al maestro di musica Vincenzo Galilei, con inizio il primo giorno di agosto. Era passato un anno dalle nozze, Giulia già aspettava il suo primo figlio e Vincenzo non poteva più contare con il mantenimento (e forse l’ospitalità) a cui si era impegnato il fratello della sposa. Era tempo di avere un’abitazione per sé. La casa che affittò per un anno, al prezzo di uno scudo al mese, era grande e dignitosa: tre piani, una chiostra con pozzo ed altre pertinenze.
Vincenzo, accanto ai proventi della scuola di musica, certamente praticava la mercatura di tessuti. Ormai aveva passato i quarant’anni e di lui, per tutto questo tempo, non sappiamo nulla di più di quanto ci dicono pochi documenti notarili, alcuni ricordi autobiografici inseriti in alcune sue opere e qualche lettera.
Non sappiamo, per esempio, se nel febbraio del 1564 Vincenzo aveva già rinunciato alla casa Bocca, troppo cara per lui, oppure se ancora vi abitava; in ogni caso, le ricerche fatte sinora a tal fine, fanno pensare che Galileo sia nato in casa Ammannati, che era nella parrocchia di S. Andrea, citata nell’atto di battesimo.
Conosciamo troppo poco della vita di Vincenzo Galilei, per sapere quando e perché, lasciata la famiglia a Pisa, si stabilì
a Firenze. Le uniche notizie coeve sul piccolo Galileo sono ricavate dalla corrispondenza tra Vincenzo e il suo
"compare" e parente Muzio Tedaldi a cui aveva in parte affidato la famiglia. I rendiconti delle spese sostenute
dal Tedaldi vanno dal 1572 al 1574: vi spigoliamo quanto appare riferito a Galileo:
Nel 1572: il 26 settembre per una “calisea bigia” £ 23; il 9 novembre per il maestro £ 5; il 27 novembre per fattura
de’ panni £ 5; il 12 dicembre per il maestro £ 5.
Nel successivo 1574, si trovano segnate queste spese: il 9 gennaio, il 6 febbraio e il 5 maggio Galileo portò al maestro
£ 5; il 16 maggio per il perpignano incarnato ed altro [panno] e per il sarto, per fattura di panni e soppanni lire 15,
soldi 2, denari 8. Infine, dopo il 15 ottobre 1574 – quando forse la famiglia aveva ormai raggiunto Vincenzo a Firenze -
una nota conclusiva di £ 5 che "per tanti mi fa debitore Lazero spetiale, per medicine date a Galileo".
Apprendiamo da un autografo del Tedaldi che il primo ottobre 1573 egli ebbe da Vincenzo, per due anni, gratis et amore
100 scudi, prestito che allo scadere gli fu rinnovato per altri due anni. In questa fase della sua vita Vincenzo doveva
star bene finanziariamente, se nel 1563 aveva stampato a Roma le Intavolature de lauto, madrigali e ricercate e nel
1568 a Venezia il Fronimo.
Vincenzo Galilei, nato in un piccolo borgo ai confini del territorio fiorentino, si dichiara
sempre "nobile fiorentino" e questo attaccamento familiare alla città dei suoi avi lo trasmetterà a Galileo.
Anche se, nel 1566, viene accolto dalla Compagnia di S. Guglielmo, a cui potevano essere iscritti solamente i
fiorentini e ciò fa pensare a una sua presenza abbastanza continua a Pisa per i primi anni di matrimonio, i suoi interessi
culturali sono tutti a Firenze, dove fin da giovane aveva potuto approfondire i suoi studi con l’aiuto di Giovanni Bardi
dei conti di Vernio. Per conoscere il suo animo e intuire la sua storia basta leggere alcune righe autobiografiche, che si
leggono nella lettera dedicatoria al Bardi, che precede il Dialogo della musica antica et della moderna:
«… Come potrei io pure in minima parte ricompensare le comodità che ella mi ha date di potere con quieto animo attendere a quelli studij a’ quali da primi anni mi diedi, & che senza l’aiuto suo non haverei condotti in quel termine nel quale hora si ritrovano? A che si aggiugne la prontezza dell’animo suo in far venire ad instanza mia, dalle più lontane parti d’Europa varij libri & instrumenti, senza i quali impossibile era potere della Musica quella notizia havere che mediante quelli habbiamo; & acciò questa scienza si mostrasse per me al mondo assai più chiara di quello che forse dopo la sua perdita non è ancora stato, non li è paruto grave darmi comodità di viatico, & prestarmi il suo favore in ogn’altra cosa opportuna per cercare molti luoghi, & indi ritrarre & da costumi degli habitatori, & dalle memorie antiche & da huomini della musicale scienza intelligenti, quelle maggiori & più vere notizie che possibile è stato
Nei suoi libri Vincenzo si rivela un forte polemista, ironico, alle volte fino al sarcasmo, note caratteristiche che il figlio erediterà, insieme alla predilezione per il dialogo, come forma espositiva. Nel suo Discorso … intorno all’opere di messer Gioseffo Zarlino, vi sono passi di feroce polemica che non sono inferiori al meglio del Saggiatore galileiano. Un esempio solo, degno della prosa del figlio:
Secondo l’ordine promesso, verrò con quei pochi principi di matematica che da fanciullo apparai, a rispondere a quanto di
essa il Zarlino mi riprende; & prima dico, che nel mio Dialogo, tutti i calcoli, & i computi che vi sono, son giustissimi.
& con assai facilità spiegati.
Ben è vero, che la più parte di essi son facili, perché il luogo non ricercava difficultà maggiore; la quale ho con ciascun
mio sapere fuggita; & quello che si poteva fare con semplici parole, non ho voluto per predicar me stesso, adoperare
difficili strumenti, o farne difficili dimostrazioni: prima per non esser queste da ciascuno intese; & quelli
per non trovarsene in tutti i luoghi & non saper ciascuno adoperargli.
& venendo al caso del Zarlino dico, ch’io non so vedere in quel suo libro che lui intitola Demostrazioni Harmoniche,
quello c’abbia voluto dire, ne anco quello ch’abbino a fare quelle sue novelle di che è pieno, con le dimostrazioni da
dovero.&
& venendo al particolare si è compiaciuto ch’io contro mia voglia facci, lui scrive nel capo ottavo del primo dei
suoi Supplimenti, questa bella sentenza in suo favore; dicendo che non può esser huomo di fama, di reputazione, o di
valore, senz’esser versato nelle matematiche: laonde se dal saper matematica si ha da far giuditio del valore de gl’huomini,
verrò a dimostrare quanto lui ne sappia.
& di qui cominciandomi dico; che nel primo ragionamento, pone la quarta domanda per notissima, la quale per la sua
oscurità ha dato occasione di affaticarsi a huomini grandissimi per dimostrarla: com’è Eutochio, Pappo, e Teone;
lasciando ch’ei la pone per domanda essendo da Euclide stata posta per diffinitione.
Ma questo fa in tutte le seguenti che lui nomina dignità, le quali sono proposizioni di Euclide; & per la difficoltà
loro degne d’esser dimostrate; come è la prima, la quarta, la sesta, la settima, & altre. Hora questo è l’ordinario
de comentatori dei luoghi facili, i quali comentatori passano con silentio le cose difficili per non esser da loro
intese; scusandosi poi come io ho detto, d’esser brevi e stringati. In quelle cose poi che sono note, vi fanno sopra;
lunghissimi discorsi. Lascio stare il poco ordine che in esse osserva, ponendone alcune fisiche, com’è la seconda, tra le
altre che sono matematiche; ponendole inoltre indifferentemente tolte dalle definizioni del primo & del settimo d’Euclide
[…] lui per mala sua fortuna non dimostra mai alcuna cosa, & lascia sempre nella penna, tutto quello ch’è di buono
nelle matematiche, che è il dimostrare necessariamente le sue conclusioni […]
Hor dicami di gratia Messer Gioseffo, appresso quali matematici ha imparato che si ponghino le diffinitioni & nel
medesimo tempo si cerchino di dimostrare? Il che fare è appunto un voler litigare quello che d’accordo ci è conceduto […]
Questo libro, per la sua ricchezza di paradossi, esempi, parabole, osservazioni penetranti, dimostrazioni matematiche e notizie storiche, pur tralasciando le discussioni di teoria musicale, si legge con lo stesso piacere del già ricordato Saggiatore, che 24 anni più tardi scriverà Galileo. Il quale Galileo nel 1589, ormai nominato professore dello Studio Pisano, chi sa se non avrà letto le bozze e controllato i calcoli e le citazioni di quell’Euclide, per amore del quale aveva ottenuto dal padre di lasciar da parte la medicina?
Di Vincenzo Galilei potremmo dire di più, ma quanto è stato scritto è sufficiente per far intuire la sua grande
influenza sul figlio primogenito.
Ma ritornando alla fanciullezza, Galileo vedeva ad intermittenza il padre, che gli mandava regali attraverso il
Tedaldi (per esempio, uno "schizzatoio" e un pallone) anche se, con molto senso pratico, nel carnevale del
1574 aveva preferito scambiare «la maschera in un paro di pianelle, che così si è contento».
Vincenzo Viviani, forse raccogliendo notizie familiari, ritrae così Galileo:
«Cominciò questi ne’ primi anni della sua fanciullezza a dar saggio della vivacità del suo ingegno, poiché nell’ore di spasso esercitavasi per lo più in fabbricarsi di propria mano varii strumenti e machinette, con imitare e porre in piccol modello ciò che vedeva d’artifizioso, come di molini, galere, et anco d’ogni altra macchina ben volgare. In difetto di qualche parte necessaria ad alcuno de’ suoi fanciulleschi artifizii suppliva con l’invenzione, servendosi di stecche di balena in vece di molli di ferro, o d’altro in altra parte, secondo gli suggeriva il bisogno, adattando alla macchina nuovi pensieri e scherzi di moti, purché non restasse imperfetta e che vedesse operarla»
Questo faceva "nelle ore di spasso"; perché Galileo studiava buona parte del giorno. Dove? Alla scuola della città.