Enrico
Fermi: la personalità del genio
di Roberto Vergara Caffarelli
(articolo pubblicato sulla rivista Athenet dell'Università di Pisa)
Emilio Segrè, suo allievo e amico, chiude la sua biografia Enrico Fermi fisico con questa valutazione in cui è palese l'intento di essere obiettivo.
Che avesse dominato tutta la fisica, lo sostengono anche quelli che non lo conobbero di persona, come Lev Landau, che nel 1930 aveva detto: "Io sono uno dei pochi fisici universali". Questa affermazione, dopo la morte di Enrico Fermi, divenne "Io sono l'ultimo dei fisici universali". Hans Bethe nel 1955 ricordò così Fermi ai membri della American Physical Society: "Era unico tra i grandi fisici del ventesimo secolo perché era uno dei più grandi in fisica sperimentale ed insieme uno dei più grandi fisici teorici. Era unico anche per l'ampiezza dei suoi contributi. È stato uno degli ultimi fisici che hanno conosciuto quasi tutto della fisica e lo hanno usato nelle proprie ricerche. Se passiamo in rassegna i lavori di Fermi passiamo in rassegna la storia della fisica degli ultimi trenta anni. Ovunque veniva aperta una nuova e importante frontiera della fisica, là era Fermi a indicare il cammino e a mostrarci come andare avanti. [...] Molti di voi probabilmente, come me, hanno appreso per la prima volta la teoria dei campi dal bell'articolo di Fermi nella Review of Modern Physics del 1932. In un campo difficile è un esempio di semplicità, che penso rimane insuperato".
Nella stessa occasione Walter H. Zinn concluse il suo intervento così: "Il suo lavoro nell'energia atomica mostra con chiarezza l'enorme potere posseduto da un ricercatore che è abile sia nella teoria sia nell'esperimento. Come tale Fermi era supremo. Noi non possiamo aspettarci di vederne uno uguale per molto, molto tempo".
Bethe chiuse quel simposio commemorativo in onore di Fermi in questa maniera: "La principale qualità di Fermi era la sua semplicità, la semplicità della sua persona e la semplicità del suo approccio ai problemi della fisica. La sua abilità stava nel prendere un problema complicato, scomporlo nelle sue parti, risolverlo, e dopo averlo scomposto, trovare la soluzione per le parti e trovarla in maniera elegante.
Molte volte, parecchi di noi hanno avuto problemi per i quali eravamo troppo stupidi per risolverli e andavamo da Fermi per un consiglio. Era sempre pronto a darlo. Gli dicevamo il nostro problema ed egli, dopo averlo ascoltato con attenzione, ci esponeva il nostro problema in una forma completamente diversa. O ci dava la soluzione o, più spesso, aveva reso così chiaro il problema che per noi era possibile risolverlo e nello stesso tempo avere il piacere di farlo da soli. Non c'è un altro fisico come Fermi. La sua vita è stata ricca. La sua opera vivrà e così il suo spirito, ma noi abbiamo perduto per sempre Enrico Fermi".
Enrico Persico, che gli fu amico fin dal ginnasio, da quando Fermi aveva 14 anni, ricorda: "Questa ammirabile abilità didattica è evidente in tutte le pubblicazioni di Fermi. Il lettore è spesso ingannato dall'apparente semplicità del ragionamento di Fermi e solo quando abbandona la sua guida e tenta di andare avanti da solo, si accorge di essere stato abilmente condotto per mano attraverso una densa, buia foresta. [...]
Fin dalla sua adolescenza Fermi ebbe una ben definita visione positivista del mondo, benché dubito che egli avrebbe accettato questa od ogni altra etichetta per la sua filosofia. Non era cresciuto in un ambiente religioso e così non era dovuto passare attraverso una crisi religiosa, come capita a tanti italiani quando raggiungono l'età dell'autonomia intellettuale. È un fatto che non lo interessavano molto le discussioni filosofiche, e sembra che lo abbia lasciato abbastanza indifferente anche lo sviluppo della filosofia scientifica che si ebbe durante gli anni della sua maturità, con l'attività del Circolo di Vienna e di altri gruppi. [...]
Dai suoi giorni di collegio in poi avversò quel genere di fisica in cui metodi matematici eleganti ed elaborati vengono impiegati per problemi di poco interesse scientifico o pratico; oppure calcoli lunghi ed accurati vengono condotti per problemi che non richiedono un tale alto grado di accuratezza. Considerava la matematica come uno strumento per descrivere e comprendere i fenomeni naturali ed era eccezionalmente abile nell'applicarla, ma era irritato da quelli che si servono di problemi fisici triviali come un pretesto per mostrare la loro abilità matematica.
Un'altra avversione di Fermi - aggiunge Persico - era per le teorie troppo astratte o troppo formalistiche, non espressa così fortemente, ma evidente attraverso il suo lavoro scientifico. [...] Nel lavoro sperimentale Fermi aveva il suo proprio stile personale. La sua abilità sperimentale non consisteva nel saper costruire apparecchiature complicate o eseguire misure di alta precisione. Consisteva piuttosto nel saper riconoscere, al momento opportuno, quale era l'esperimento più importante da fare, progettarlo nella maniera più semplice e più efficace e realizzarlo con energia e pazienza, senza perdite di tempo e fatica non necessaria. Il suo lavoro sperimentale era sempre connesso con il suo lavoro teorico, e portava avanti entrambi con metodo e calma, con grande perseveranza e una eccezionale resistenza alla fatica mentale e fisica".
"Se dovessi condensare in un solo tratto la fisionomia mentale, pur così complessa, di Enrico Fermi, direi che la sua caratteristica principale era una prodigiosa capacità di vedere subito l'essenziale in ogni cosa, e di puntare direttamente su di esso coi mezzi più semplici".
"Di gusti estremamente semplici, amava la vita tranquilla di famiglia e considerava il denaro soltanto come mezzo per procurarsi le comodità essenziali e la tranquillità necessaria ai suoi studi; ogni manifestazione di lusso era per lui una inutile complicazione della vita. Amava moltissimo l'esercizio fisico; il tennis, lo sci, le gite in montagna, e godeva di queste cose, anche adulto, con giovanile abbandono".
"In una gita che facemmo, noi due soli, [nel 1954] nell'isola d'Elba, ritrovai in lui una sua vecchia abitudine, che credo pochi conobbero, e che forse stupirà chi lo ha conosciuto solo superficialmente. Spesso nei momenti di distensione, camminando o sostando in vista di un bel paesaggio, l'ho udito recitare, come tra sé, lunghi brani di poesia classica, di cui fin dalla giovinezza custodiva nella memoria un ricco tesoro. Temperamento poco incline alla musica, la poesia gli teneva luogo di canto".
Questa insensibilità alla musica ha sempre sorpreso, forse per l'associazione che l'immaginario collettivo fa della musica con la matematica, personificata da Einstein che suona il violino. Mario Salvadori, per molti anni professore alla Columbia University, che incontrò Fermi per la prima volta nel 1927 e continuò a vederlo spesso anche in America, indica tre caratteristiche di Fermi che lo condussero al trionfo. Primo, la sua straordinaria intelligenza, secondo , la sua insaziabile curiosità, terzo, l'esclusività dei suoi interessi: "la fisica era il suo solo, grande amore e non aveva tempo per quasi nient'altro. I suoi bisogni estetici erano minimi: qualunque mobile lo soddisfaceva purché avesse le gambe dritte e, quando i suoi amici lo accusarono di mancanza di interesse per la musica, Fermi li tacitò con un esperimento. Comprò i dischi della quinta sinfonia di Beethoven diretta da Toscanini e l'ascoltò religiosamente dalla prima all'ultima battuta. Non avendone ricavato il benché minimo piacere, l'ascoltò attentamente per la seconda volta con identico risultato. Ritenne così di aver dimostrato che non si trattava di mancanza di interesse ma di una sua naturale incapacità a capire la musica e, liberatosi dell'accusa, non ci perse più tempo".
È notevole trovare che i giudizi di chi lo conobbe coincidono nelle linee generali: Fermi appariva a tutti allo stesso modo, era l'opposto di un personaggio pirandelliano. Per esempio, Bruno Pontecorvo ha lasciato queste riflessioni: "Vorrei fare alcune osservazioni personali in merito all'atteggiamento che Fermi aveva nei confronti della vita. Egli amava la fisica e inoltre, soprattutto dopo il soggiorno a Leida [nel 1924] aveva sentito che la missione di ricercatore e di educatore gli era congeniale. Rispetto a questo amore e a questa missione tutto il resto era per lui di secondaria importanza. A volte consciamente, ma più spesso inconsciamente, il suo atteggiamento nei confronti della carriera scientifica, dello sport, del riposo, della famiglia, della letteratura, dell'arte e addirittura della politica veniva determinato dal tentativo di avere le migliori condizioni di lavoro. Direi che nella vita di Fermi avveniva tutto come se strani 'ormoni' gestissero i suoi sentimenti e il suo sistema di vita, al fine di garantirgli automaticamente condizioni ottimali per la ricerca scientifica.
Egli era un genio e la sua genialità era legata in misura significativa al suo amore per la semplicità scientifica; al di fuori della fisica era una persona assolutamente normale, quasi banale. Aveva gusti ed esigenze semplici, odiava le complicazioni (come nella fisica!), era assolutamente privo di snobismo e di ipocrisia; estremamente sincero, non nascondeva mai quegli aspetti del suo carattere che a molti sarebbero potuti sembrare dei difetti (per esempio, la sua mancanza di amore per la musica, il totale rifiuto del rischio, l'indifferenza per le questioni politiche e filosofiche, una certa cautela nello spendere; a questo proposito bisogna dire che i soldi a Fermi servivano per poter realizzare il suo lavoro scientifico con tranquillità, non per condurre una vita lussuosa)". [...]
Pontecorvo spiega bene alcuni condizionamenti di Fermi: "Negli anni Venti, quando i principi fondamentali della fisica subirono una radicale trasformazione, Fermi, che non aveva né insegnanti né maestri, ebbe grosse difficoltà di orientamento. Era naturale che in tali condizioni di particolare isolamento scientifico, Fermi tendesse alla soluzione di problemi concreti, in quanto poteva valutare l'importanza del proprio lavoro soltanto attraverso i risultati di carattere non troppo astratto, ovvero verificabili mediante esperimenti. Questa aspirazione alla concretezza in ogni cosa, alla semplificazione, all'estrapolazione della cosa più importante è, forse, la caratteristica più tipica di Fermi. Quasi tutti i suoi lavori si distinguono proprio per la mancanza di astrattezza. Le sue teorie, quasi senza eccezione, sono nate per spiegare, per esempio, l'andamento di una curva sperimentale, la peculiarità di un risultato empirico ecc. Non è da escludersi che le caratteristiche di Fermi - la concretezza, l'odio per la mancanza di chiarezza, il pensiero eccezionalmente lucido - pur aiutandolo nella elaborazione di molte fondamentali, parallelamente gli abbia impedito di arrivare a teorie e principi quali la meccanica quantistica, la relazione di indeterminazione e il principio di Pauli".
I discorsi letti nelle commemorazioni di un personaggio tendono alle volte ad essere encomiastici, ma credo che quanto disse a Varenna Isidor Rabi il 6 agosto 1955 concordi con quanto hanno detto molti, anche se corregge in parte la valutazione di Segré: "Fermi era straordinario non solo per la potenza del suo genio, la sua grande immaginazione e il suo intelletto, il suo tremendo vigore e pazienza, la sua chiarezza e oggettività. Era eccezionale che in un'età di stretta specializzazione egli fosse un generalista. Non era solo un fisico teorico o un fisico sperimentale, un fisico nucleare o un fisico dello stato solido, un fisico puro o un fisico applicato. Forse più di ogni altro suo contemporaneo egli era un fisico e nessun ramo della materia, dalla termodinamica alla relatività, gli era estraneo ed egli contribuì in maniera importante in quasi tutti i campi. Anche come sperimentale coprì l'intero campo, dalla spettroscopia ai raggi cosmici. Per trovare una figura analoga nella storia della scienza si deve andare indietro alle origini della fisica, ad Archimede, e a Galileo, Isaac Newton e Jeinrich Hertz. Per questa ragione credo che vi saranno generazioni prima che uno uguale a lui venga a nascere".
Nel 1992, in occasione del cinquantesimo anniversario del primo reattore, Valentine Telegdi ha detto ai Lincei: "Nessun singolo individuo in questo secolo ha contribuito tanto alla fisica, nella teoria così come nell'esperimento, come ha fatto Fermi. Tuttavia, nell'opinione di chi parla, nel periodo di Chicago il suo più grande contributo sta nel suo insegnamento. Nei suoi studenti e nel loro insegnamento è ancora oggi vivo lo spirito di Fermi". Telegdi fornisce l'elenco di coloro che hanno fatto il PhD con lui a Chicago: di essi ben quattro hanno avuto il premio Nobel, e a loro occorre aggiungere Segré e Gell-Mann!
Edoardo Amaldi ha lasciato una precisa ricostruzione di come Fermi operava: "Giunto a Roma nel 1926, valendosi dell'appoggio di Corbino e dell'aiuto di Franco Rasetti, che lo aveva seguito da Firenze, Enrico Fermi si era accinto a creare una scuola. Aveva raccolto un piccolo numero di giovani appassionati della fisica e dei nuovi orizzonti che essa stava schiudendo e si dedicava alla loro formazione. Ciò avveniva in parte attraverso le lezioni di fisica teorica e, per qualche anno, di fisica terrestre, che egli impartiva con assiduità e semplicità esemplari presentando tutti gli argomenti nelle loro linee essenziali, spogli di ogni sovrastruttura non necessaria; ma in parte anche con un metodo caratteristico e personale consistente nel riunire attorno al suo scrittoio, generalmente verso la fine dei lunghi pomeriggi trascorsi nell'istituto, o nei laboratori, alcuni dei suoi collaboratori ed allievi e nel mettersi a discutere cercando di risolvere, per così dire, in pubblico, un problema ancora non risolto suggeritogli da una domanda di uno degli ascoltatori o proposto da lui stesso in connessione con qualche argomento su cui era caduta la sua attenzione. Le trattazioni che egli sviluppava con questo metodo, venivano scritte direttamente su un quaderno con ben poche cancellature, già pronte per la pubblicazione purché venissero aggiunti i commenti e le critiche che egli diceva ma non scriveva per non rallentare il regolare, calmo e continuo procedere del ragionamento.
La nuova formulazione della teoria di Dirac nacque proprio in questo modo. In una di queste riunioni qualcuno degli ascoltatori chiese a Fermi che spiegasse la teoria di Dirac di recentissima pubblicazione. Enrico Fermi, rivolgendosi a noi sperimentatori con un suo tipico sorriso lievemente ironico e al tempo stesso benevolo e bonario, osservò che se egli avesse presentato questa bellissima teoria nella forma adottata da Dirac noi non la avremmo capita; poteva però provare lui a farcela capire. E così cominciò a spiegare e dopo una dozzina di riunioni sul suo tavolo c'era uno spesso quaderno che conteneva tutta la trattazione generale e le applicazioni della teoria. Questo quaderno, completato dei commenti, apparve qualche anno dopo nella "Review of Modern Physics" e fu il soggetto di corsi di lezioni che egli svolse all'Institut Poincaré a Parigi e all'Università di Ann Arbor, Michigan nel 1930." Franco Rasetti nel 1968 rievoca quel periodo così: "Si tenevano riunioni che si potrebbero chiamare seminari, ma senza alcun orario od altro schema prestabilito, su argomenti suggeriti sul momento da una domanda che uno di noi faceva a Fermi, o da qualche risultato sperimentale che avevamo ottenuto e che si trattava di interpretare, o infine da un problema che Fermi stava studiando e che aveva risolto o cercava di risolvere. In qualsiasi caso, Fermi procedeva a spiegare dei calcoli che scriveva alla lavagna, col suo passo non troppo rapido ma costante, non accelerando nei passaggi facili e neppure rallentando sensibilmente davanti a difficoltà che avrebbero a lungo arrestato chi non possedesse la sua impareggiabile tecnica e l'intuito che gli faceva intravedere i risultati prima ancora di averli dimostrati. Spesso non ci accorgevamo al momento se Fermi stesse esponendo teorie a lui o ad altri ben note, o se stessimo assistendo ad un nuovo passo che egli faceva ai confini tra il conosciuto e lo sconosciuto. Abbiamo così veduto più volte nascere una nuova teoria, che Fermi sviluppava, per così dire, pensando ad alta voce."
È noto che nel periodo dell'adolescenza, tra i tredici e i diciassette anni, egli ha letto in maniera ordinata e sistematica testi universitari di matematica e di fisica. Quali sono state le conseguenze della precocità scientifica di Fermi? Che abbia guadagnato quattro anni è cosa ovvia e, tutto sommato, di poco conto. Quanto è stato importante sul versante fisiologico, visto che il cervello in quel periodo è in una fase di plasticità e formazione ancora notevole? Quanto è stato importante sull'aspetto psicologico, sulla formazione del carattere e sui rapporti con il mondo esterno, certamente un effetto a cascata sulla sua storia personale? Si deve forse alla sua precocità di autodidatta se è riuscito a spazzare via l'arretratezza culturale della fisica italiana, che tuttavia condizionerà in maniera definitiva il suo atteggiamento nella ricerca? Concludo con Bruno Pontecorvo: "Enrico è diventato il grande Fermi proprio perché i suoi interessi si sono rivelati e le sue esigenze intellettuali sono state soddisfatte quando egli era ancora un ragazzino".