Salon de 1847. Galilée comparaissant devant ses juges , par M. Robert Fleury.
La figura è inserita in un articolo di C. de Chatouville, che illustra i quadri presenti nel Salon del 1847, pubblicato nel periodico "MUSÉE DES FAMILLES - Lectures du soir " pp. 255-256 (Typographie de hennuyer et C e , Batignolles); Il passo che riguarda Galileo è il seguente: M. Robert Fleury a exposé deux tableaux d'histoire dignes de son talent et de sa renommée; c'est dire que ces deux tableaux sont admirables. L'un est Chistophe Colomb présentant à Ferdinand et à Isabelle des sauvages et des perroquets d'Amérique. L'autre est Galilée comparaissant devant ses juges . On connaît le sort de cet illustre astronome, encore plus malheureux que Copernic. Accablé d'outrages et d'insultes pour avoir affirmé que la terre tournait, et révélé l'ordre sublime de la création, il se vit enfin traîné devant un tribunal, soumis à la question e de la corde, et forcé de déclarer, au couvent de la Minerve, à Rome, que la terre était immobile, que c'etait le soleil qui roulait autour d'elle. Ce fut le 22 juin 1632 [ sic! ], que le grand homme, âgé de soixante-dix ans, brisé par la torture, la corde au cou, un cierge à la main, agenouillé devant la Bible, prononça, sous la dictée du saint-office, cette abjuration fameuse: «Moi, Galilée ..., je maudit et déteste le livre où j'ai soutenu que le soleil est immobile au centre du monde, et que la terre tourne autour de lui, et je me soumets à tous les supplices si je répète et laisse répéter cette damnable erreur ... etc.» Ces paroles déchirèrent tellement son âme en sortant de ses lèvres, qu'au moment où il se releva, il frappa du pied la terre, et dit à demi-voix? «E pur si muove!» (et pourtant elle tourne!) ». Voilà justement le tableau de M. Robert Fleury. Nos lecteurs verront, par la gravure ci-dessous, que l'éminent artiste s'est élevé à la hauteur du sujet. |
Osservazioni
Galileo aveva sessantanove anni compiuti quando ha abiurato il 22 giugno 1633 (non 1632 come è scritto nell'articolo), essendo nato il 15 febbraio 1564. Tra coloro che credono che Galileo fu torturato vi è ITALO MEREU, che ha esaminato criticamente la letteratura precedente nella sua Storia dell'intolleranza in Europa , (Milano 1979); invece Annibale FANTOLI, Il caso Galileo , (Milano 2003) ritiene che vi fu solo minaccia di tortura, al fine di accertare la sua disposizione a "fare ubbidienza".
Sulla probabile veridicità del motto "Eppur si muove" si veda quanto scrisse ANTONIO FAVARO nello Scampolo CXL (Atti e Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova, vol. XXIX), in cui descrive un bellissimo quadro del Murillo, raffigurante Galileo in prigione, che reca in basso, assieme alla firma e alla data (1643 o 1645), il motto "Eppur si muove". Un'iscrizione sul telaio riporta il nome di Ottavio Piccolomini, fratello di Ascanio, l'arcivescovo di Siena che accolse Galileo dopo la condanna, ospitandolo per circa sei mesi. Si riporta una parte di quanto scrisse il Favaro:
Nel 1643 Ottavio Piccolonimi era dunque certamente a Madrid e nell'elevatissima posizione che occupava alla corte non può non aver conosciuto il Velasquez che era allora all'apice della gloria; e proprio in quel medesimo anno il Murillo muoveva da Siviglia dov'era nato, con l'intenzione di recarsi in Italia per istudiarvi le opere dei grandi Maestri; giunto però a Madrid ne fu dissuasi dal Velasquez e con lui rimase fino al 1645. Nulla si opporrebbe a credere che Ottavio Piccolomini avesse personalmente conosciuto il Murillo, e che, impressionato dalla relazione del caso di Galileo, gli avesse commesso un quadro che ne rappresentava il fatto più saliente conforme la relazione che ne avrà avuta. E poiché siamo nel campo delle verosimiglianze e delle ipotesi, potrà anche supporsi che tale relazione egli abbia avuta dal fratello Ascanio, del quale Galileo era ospite, e che (portati ormai su questo campo, non ci spaventa l'avventurarvici più o meno) può anche essere stato l'amico e confidente col quale il condannato dal Sant'Uffizio avrebbe potuto lasciarsi sfuggire il motto. |
Da notare che il Favaro giudica la testa molto bella e stima che il Murillo, il quale non fu mai in Italia, deve aver veduto un ritratto di Galileo, mostratogli o dal committente o da altri. In particolare ritiene che possa essersi ispirato al ritratto dipinto da Domenico Cresti "il Passignano" (Passignano 1589-Firenze 1638) , a cui somiglia
opportunamente invecchiato per ridurlo dall'età di circa sessant'anni, nella quale trovasi in esso raffigurato, a quella ch'egli aveva durante il secondo processo. |
Joseph Nicolas Robert-Fleury (Cologne 1797 - Paris 1890) .
Dopo aver studiato a Parigi, intorno al 1820 si mise a viaggiare in Europa, soprattutto in Italia e Olanda. Partecipò ai Saloni di Parigi dal 1824 al 1867, esponendo soprattutto quadri con scene di genere o di contenuto storico (in cui traspare spesso la sua ripugnanza per l'intolleranza religiosa), che gli diedero una considerevole riputazione. Dotato di talento originale e vigoroso e di una fervida immaginazione per gli avvenimenti tragici della storia, nel 1850 ebbe il posto che era stato di Grenet nella Accademia di Belle Arti. Divenne nel 1855 professore della "Ecole des Beaux Artes" di cui fu nominato direttore nel 1863; Fu poi direttore dell'Accademia di Francia a Roma (1866-67)
Il quadro si trova attualmente a Parigi al Museo del Louvre: Galilée devant le saint Office au Vatican , 1847, huile sur toile, 196,5 x 308 cm, RF567.
La fotografia del quadro è stata trovata al seguente indirizzo: http://www.er.uqam.ca/nobel/r14310/Ptolemy/Galileo/index.html.
Annibali Fantoli (Il casoGalileo. Dalla condanna alla "riabilitazione" una questione chiusa? Milano, 2003, pp.207-209) così descrive la scena:
La mattina del giorno seguente [ Galileo ] fu costretto a vestire il camice di penitenza e fu condotto al convento domenicano di S. Maria sopra Minerva, al centro di Roma. Inginocchiato davanti ai cardinali e agli ufficiali del S. Uffizio, Galileo ascoltò la lettura della sentenza di condanna. [...] Dopo la lettura della sentenza, non restava a Galileo che ubbidire. Sempre in ginocchio, lesse la formula di abiura che gli era stata presentata: Io Galileo Galilei, figlio del quondam Vincenzo Galilei da Fiorenza, dell'età mia d'anni 70, constituto personalmente in giuditio, et inginocchiato avanti di voi Emin.mi et Rev.mi Cardinali, in tutta la Repubblica Christiana contro l'heretica pravità generali Inquisitori; avendo avanti gl'occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l'aiuto di Dio crederò per l'avvenire, tutto quello che tiene, predica et insegna la S.ta Cattolica et Apostolica Chiesa. Ma perché da questo S. Off. o , per aver io, dopo d'essermi stato con precetto dell'istesso giuridicamente intimato che omninamente dovessi lasciar la falsa opinione che il sole sia centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si muova, e che non potessi tenere, difendere né insegnare in qualsivoglia modo, né in voce né in scritto, la detta falsa dottrina e dopo d'essermi notificato che detta dottrina è contraria alla Sacra Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto l'istessa dottrina già dannata et apporto ragioni con molta efficacia a favor di essa, senza apportar alcuna solutione, sono stato giudicato vehementemente sospetto d'heresia, cioè d'haver tenuto e creduto che il sole sia centro del mondo e immobile e che la terra non sia centro e si muova. Pertanto, volendo io levar dalla mente delle Eminenze V. re e d'ogni fedel Christiano questa vehemente suspitione, giustamente di me conceputa, con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li sudetti errori et heresie, et generalmente ogni e qualunque altro errore, heresia e setta contraria alla S. ta Chiesa; e giuro che per l'avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa haver di me simile sospitione; ma se conoscerò alcun eretico o che sia sospetto di heresia, lo denontiarò a questo S. Officio, o vero all'Inquisitore o Ordinario del luogo dove mi trovarò .... |
Sulla condanna e l'abiura l'ambasciatore del Granduca presso il Papa scrisse questa lettera:
2558. FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA CIOLI [in Firenze]. Roma, 26 giugno 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 187. - Autografa la sottoscrizione. Ill. mo Sig. r mio Oss. mo Il S. r Galileo fu chiamato lunedì sera al S. to Offitio, dove si trasferì martedì mattina, conforme all'ordine, per sentire quel che potessero desiderare da lui; et essendo stato ritenuto, fu condotto mercoledì alla Minerva avanti alli S. ri Cardinali e Prelati della Congregatione, dove non solamente li fu letta la sentenza, ma fatto anche abiurare la sua opinione. La sentenza contiene la prohibitione del suo libro, come ancora la sua propria condennatione alle carceri del S. to Offitio a beneplacito di S. S. tà , per essersi preteso ch'egli habbia trasgredito al precetto fattoli 16 anni sono intorno a questa materia; la qual condennatione li fu subito permutata da S. B. in una relegatione o confine al giardino della Trinità de' Monti, dove io lo condussi venerdì sera, e dove hora si trova per aspettar quivi gli effetti della clemenza della S. tà Sua. E perchè egli haverebbe pur voluto venirsene in costà per diversi suoi interessi, io mi son messo a negotiare, che non parendo al Sig. r Card. l Barberini et a S. S. tà di favorirlo d'una assolutione libera, si contentino almeno di permutarli il confine a Siena, in casa di Mons. r Arcivescovo, amico suo, o in qualche convento di quella città, affine che, passato il sospetto del contagio, possa calar subito a Firenze per i suoi interessi, dove piglierà anche per carcere la sua propria villa. Attendo qualche risposta da Mons. r [ Alessandro ] Bichi, che tratta col S. r Card. l Barberini, non havendo io possuto veder S. Em. za per gl'impedimenti delle capelle di S. Giovanni e concistoro publico dell'Ambasciator di Francia. Mi è parso che il Sig. r Gallileo si sia assai afflitto della pena riportata, giuntali anche assai nuova, perchè quanto al libro mostrava di non si curare che fosse prohibito, come cosa antevista da lui. E con questo a V. S. bacio le mani. Di Roma, li 26 di Giug. o 1633.
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Osservando la parete affrescata del fondo si riconosce il luogo in cui il pittore ha voluto ambientare la scena dell'abiura non è il convento della Minerva, è una delle stanze dipinte da Raffaello nei Palazzi Vaticani e precisamente la Stanza della Segnatura, come si può verificare confrontando con l'immagine che segue.
(la base base dell' affresco misura 7,7 metri).
Questa immagine è stata presa dalla rete al seguente indirizzo: http://www.kfki.hu/~arthp/html/r/raphael/4stanze/1segnatu/2/index.html.